cucina mediterranea
introduzione | cosa scegliere a tavola | i fritti | i dolci | ricette Testo di Patrizia Riotta

A tavola di Monsł
C
ome sempre accade, le tradizioni gastronomiche dipendono dalla storia, dal clima ed anche dalla religione del luogo. Palermo, in quanto capitale è stata da sempre sede dei governanti di Sicilia e quindi di Emiri, Re Normanni, Viceré Borboni, Spagnoli e Francesi, da questo, la necessità da parte dei cuochi di trasformare cibi poveri essenziali e genuini in pietanze che mostrassero all'occhio critico dei regnanti, sfarzo e ricchezza. Ecco che la fantasia dei cuochi di un tempo è riuscita a trasformare il riso in tonde "Arancine" dorate, gli ortaggi in stuzzicanti pasticci come la "Caponata" o la "Frittella". 

E' dalla Francia che il cuoco siciliano ha presso quel nome così imponente che lo distingue dal cuoco apprendista. Il " Monsù" cioè signore della cucina oltre che capo, era colui che dava l'impronta di originalità ed eleganza ad ogni piatto. E' proprio dai Monsù di corte che i giovani apprendisti siciliani hanno appreso i segreti sui tempi di cottura, sul dosaggio degli ingredienti e soprattutto sulla presentazione delle varie portate. Il titolo di Monsù era un vanto e si tramandava da padre in figlio anche se, bisogna precisare che negli anni, i Monsù della nascente e ricca borghesia poco o nulla hanno apportato di nuovo nella cucina siciliana.

 

La varietà di sapori e di decorazioni appena accennata, si riscontra soprattutto nei dolci siciliani. La cassata, i Cannoli, le Sfince di San Giuseppe o il "gelo di mellone" si trovano facilmente in commercio, altri invece come lo sfoglio o le cassatedde sono legati alla tradizione contadina e si trovano quasi esclusivamente nei paesi della provincia, altri ancora traggono origine dai monasteri, entro le cui mura, le monache di clausura inventavano dolci ricchi e decorati come, per esempio, lo spettacolare "Trionfo di gola", le "Minni di vergini"(mammelle di vergine) ripiene di zuccata al gelsomino, o "conchiglie verdi" di marzapane di pistacchio. 
In tutta la Sicilia, le ricorrenze sono spesso celebrate con un dolce tradizionale. Nel mese di Novembre, per esempio, in occasione della commemorazione dei defunti, fanno bella mostra tra i "dolci dei morti", i famosi "pupi di zucchero" statuette variopinte, esageratamente colorate, che assumono oggi le più svariate sembianze mentre in origine si ispiravano ai personaggi dei paladini di Francia e alle danzatrici orientali, e i "frutti di martorana " dolci di pasta reale o marzapane, modellati a forma di arance,
pesche, fragole e tanto altro ancora, a seconda della fantasia del pasticciere.
La cassata (dall' arabo "gas at" cioè tondo, scodella) è il tipico dolce che celebra la Pasqua, pan di Spagna ripieno di crema di ricotta, ricoperto di glasse bianca, decorato con frutta candita colorata, confettini argentati, fiorellini di ostia variopinta , smerlettature di zucchero e pasta reale, quella palermitana in Sicilia detiene il primato per gusto e fasto. Anche le pecorelle di pasta reale, piccoli agnelli accovacciati su prati verdi, fanno bella mostra in tutte le vetrine della Sicilia nel periodo pasquale.
Alcuni dolci mantengono l' esclusività del posto, cioè il segreto della ricetta non esce fuori dal territorio di origine, per cui troveremo il "gelo di mellone" a Palermo, lo sfoglio al formaggio nelle Madonie la pignoccata bianca e nera a Messina, il torrone a Caltanissetta le cassatelle a Trapani, mentre la Cassata al forno a Siracusa. 

 

Per chi visita per la prima volta Palermo, non è facile penetrare i segreti della cucina tipica, anche se, negli ultimi anni, molti ristoranti e trattorie si sono dedicati al recupero dei piatti cosiddetti "poveri" che costituiscono la base della tradizione gastronomica siciliana. 


Caratteristica di ogni cucina "povera" é il "piatto unico" che si avvale, cioè, di un elemento base come la pasta, il pane o il riso, arricchito con condimenti vari di carne, pesce, verdure, ortaggi e legumi. 
Il piatto unico più diffuso in Sicilia è la "pasta al forno" che, a seconda delle zone, si presenta in molteplici versioni. Elaborata con pasta "corta" o "lunga", varia a seconda del condimento, pertanto troveremo gli anelletti al forno nel palermitano, la pasta 'ncaciata nel messinese, la pasta con i broccoli fritti nel trapanese.

Il pane, assume diverso sapore a seconda se impastato con la farina bianca o gialla e forme diverse secondo dalla fantasia del fornaio. In alcuni paesi della provincia, in occasione della Pasqua o della Festa di San Giuseppe, si fanno i cosiddetti "Pani votivi". In queste occasioni il pane assume le più svariate forme come fiori, animali, angeli, arnesi da lavoro o delle vere e proprie sculture con fregi e merletti.


Dulcis in fundo, non sono da trascurare i gelati e quelli siciliani, sono indiscutibilmente i sorbettieri più rinomati del mondo. " I gelatai" sono capaci di inventare migliaia di gusti servendosi di tutti i tipi di frutti freschi (fichi, gelsi neri, fragole, more, banane, etc..) frutta secca (nocciole, pistacchi, noci) o anche fiori, come il gelato di scurzunera (gelsomino) che é in assoluto il più caratteristico. Nelle innumerevoli varianti ancora una volta troveremo in ogni zona della Sicilia il gelato caratteristico. La
specialità di Trapani per esempio è il gelato di scorzonera mentre a Catania il gelato fritto e le torte imbottite sono insuperabili.
A Palermo, il gelato si mangia in ogni stagione. E' tradizione nelle calde e afose sere d' estate, "sedersi alla marina" passeggiare al lungomare di Palermo dove si trova ancora la più antica gelateria e quindi i gelati di un tempo, come scorzonera e cannella , la cassata imbottita, gli spongati con panna, i pezzi duri dai diversi gusti imbottiti con gelato di torrone. 
Posto di rilievo, infine, si deve dare ai sorbetti (gelati senza aggiunta di latte) ed alle granite, le più comuni sono quelle al limone, al caffè ed alle mandorle, gradita pausa rinfrescante soprattutto nelle
giornate estive.

 

Ma "gli sfizi" più popolari della tradizione gastronomica palermitana, si tramandano invariati nelle tipiche botteghe dei mercati della città : la Vucciria, il Capo, Ballarò, il Borgo vecchio che si distinguono in friggitorie dove troveremo le "panelle", i "cazzilli", "broccoli, carciofi, e cardoni fritti in pastella", "quaglie", "sarde a beccafico", Sfincione e Caponata; 
ed in Focaccerie dove si potevano gustare (prima che anche le mucche diventassero pazze)  le "guastedde" o "pane c'a meusa", soffici focacce con fette di milza e polmone soffritti nello strutto distinte in  "schiette" o "maritate" (nubili o sposate) a seconda se condite con solo caciocavallo o anche con ricotta fresca o meno. I più famosi "guastiddari" sono quelli dell'Antica Focacceria San Francesco.
Sempre nei mercati si poteva trovare la "quarume" detta anche "caldume" da pietanza calda, un bollito misto di trippa, budella di agnello, interiora di vitello, "centopelli", stomaco che, venduta a peso, viene servita da ambulanti, spesso in bicicletta, dentro pacchetti di carta pesante "coppi". Attraversando Palermo, anche in auto potrà capitare di venir investiti da un profumatissimo
odore di carne alla griglia : " i stigghiola", budelli di agnello alla griglia arrotolati con del prezzemolo, si mangiano calde e bruciacchiate, dall'odore forte e stuzzicante, indicano da "sole" la strada a chi vuole gustarle...
Nei dintorni marinari di Palermo, a Mondello e Sferracavallo, soprattutto nel periodo estivo, i pescatori vendono in alcuni locali tipici, ricci e frutti di mare, mentre i "polipari" vendono il polpo già bollito e tagliato a pezzetti, condito con succo di limone e servito in grandi piatti di ceramica.
Per chi avesse ancora qualche remora sul cibo, ci pregiamo aggiungere uno stralcio del suggerimento che il chiarissimo poeta dell''800 Lorenzo Stecchetti, diede all'altrettanto chiarissimo Artusi (Tratto dall'omonimo testo):
"... Non vergognamoci dunque di mangiare il meglio che si può e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia. Infine anche il tiranno cervello ci guadagnerà, e questa società malata di nervi finirà per capire che, anche in arte, una discussione sul cucinare l'anguilla, vale una dissertazione sul sorriso di Beatrice."