A tavola di Monsł
Come sempre accade, le tradizioni gastronomiche dipendono dalla storia,
dal clima ed anche dalla religione del luogo. Palermo, in quanto capitale
è stata da sempre sede dei governanti di Sicilia e quindi di
Emiri, Re Normanni, Viceré Borboni, Spagnoli e Francesi, da
questo, la necessità da parte dei cuochi di trasformare cibi
poveri essenziali e genuini in pietanze che mostrassero all'occhio critico
dei regnanti, sfarzo e ricchezza. Ecco che la fantasia dei cuochi di
un tempo è riuscita a trasformare il riso in tonde "Arancine"
dorate, gli ortaggi in stuzzicanti pasticci come la "Caponata" o la
"Frittella".
E'
dalla Francia che il cuoco siciliano ha presso quel nome così
imponente che lo distingue dal cuoco apprendista. Il " Monsù" cioè signore della cucina oltre che capo,
era colui che dava l'impronta di originalità ed eleganza ad ogni
piatto. E' proprio dai Monsù di corte che i giovani apprendisti
siciliani hanno appreso i segreti sui tempi di cottura, sul dosaggio
degli ingredienti e soprattutto sulla presentazione delle varie portate.
Il titolo di Monsù era un vanto e si tramandava da padre in figlio
anche se, bisogna precisare che negli anni, i Monsù della nascente
e ricca borghesia poco o nulla hanno apportato di nuovo nella cucina
siciliana.
La
varietà di sapori e di decorazioni appena accennata, si riscontra
soprattutto nei dolci siciliani. La cassata, i Cannoli, le Sfince di
San Giuseppe o il "gelo di mellone" si trovano facilmente in commercio,
altri invece come lo sfoglio o le cassatedde sono legati alla tradizione
contadina e si trovano quasi esclusivamente nei paesi della provincia,
altri ancora traggono origine dai monasteri, entro le cui mura, le monache
di clausura inventavano dolci ricchi e decorati come, per esempio, lo
spettacolare "Trionfo di gola", le "Minni di vergini"(mammelle di vergine)
ripiene di zuccata al gelsomino, o "conchiglie verdi" di marzapane di
pistacchio.
In tutta la Sicilia, le ricorrenze sono spesso celebrate con un dolce
tradizionale. Nel mese di Novembre, per esempio, in occasione della commemorazione
dei defunti, fanno bella mostra tra i "dolci dei morti", i famosi "pupi
di zucchero" statuette variopinte, esageratamente colorate, che assumono
oggi le più svariate sembianze mentre in origine si ispiravano
ai personaggi dei paladini di Francia e alle danzatrici orientali, e
i "frutti di martorana " dolci di pasta reale o marzapane, modellati a forma di
arance,
pesche, fragole e tanto altro ancora, a seconda della fantasia del pasticciere.
La cassata (dall' arabo "gas at" cioè tondo, scodella) è
il tipico dolce che celebra la Pasqua, pan di Spagna ripieno di crema
di ricotta, ricoperto di glasse bianca, decorato con frutta candita
colorata, confettini argentati, fiorellini di ostia variopinta , smerlettature
di zucchero e pasta reale, quella palermitana in Sicilia detiene il
primato per gusto e fasto. Anche le pecorelle di pasta reale, piccoli
agnelli accovacciati su prati verdi, fanno bella mostra in tutte le
vetrine della Sicilia nel periodo pasquale.
Alcuni dolci mantengono l' esclusività del posto, cioè
il segreto della ricetta non esce fuori dal territorio di origine, per
cui troveremo il "gelo di mellone" a Palermo, lo sfoglio al formaggio
nelle Madonie la pignoccata bianca e nera a Messina, il torrone a Caltanissetta
le cassatelle a Trapani, mentre la Cassata al forno a Siracusa.
Per
chi visita per la prima volta Palermo, non è facile penetrare
i segreti della cucina tipica, anche se, negli ultimi anni, molti ristoranti
e trattorie si sono dedicati al recupero dei piatti cosiddetti "poveri"
che costituiscono la base della tradizione gastronomica siciliana.
Caratteristica di ogni cucina "povera" é il "piatto
unico" che
si avvale, cioè, di un elemento base come la pasta, il pane o
il riso, arricchito con condimenti vari di carne, pesce, verdure, ortaggi
e legumi.
Il piatto unico più diffuso in Sicilia è la "pasta al
forno" che, a seconda delle zone, si presenta in molteplici
versioni. Elaborata con pasta "corta" o "lunga", varia a seconda del condimento,
pertanto troveremo gli anelletti al forno nel palermitano, la pasta
'ncaciata nel messinese, la pasta con i broccoli fritti nel trapanese.
Il pane, assume diverso sapore a seconda se impastato con la farina
bianca o gialla e forme diverse secondo dalla fantasia del fornaio.
In alcuni paesi della provincia, in occasione della Pasqua o della Festa
di San Giuseppe, si fanno i cosiddetti "Pani votivi". In queste occasioni
il pane assume le più svariate forme come fiori, animali, angeli,
arnesi da lavoro o delle vere e proprie sculture con fregi e merletti.
Dulcis in fundo, non sono da trascurare i gelati e quelli siciliani,
sono indiscutibilmente i sorbettieri più rinomati del mondo. "
I gelatai" sono capaci di inventare migliaia di gusti servendosi di
tutti i tipi di frutti freschi (fichi, gelsi neri, fragole, more, banane,
etc..) frutta secca (nocciole, pistacchi, noci) o anche fiori, come
il gelato di scurzunera (gelsomino) che é in assoluto il più
caratteristico. Nelle innumerevoli varianti ancora una volta troveremo
in ogni zona della Sicilia il gelato caratteristico. La
specialità di Trapani per esempio è il gelato di scorzonera
mentre a Catania il gelato fritto e le torte imbottite sono insuperabili.
A Palermo, il gelato si mangia in ogni stagione. E' tradizione nelle calde e afose sere d' estate,
"sedersi alla marina"
passeggiare al lungomare di Palermo dove si trova ancora la più
antica gelateria e quindi i gelati di un tempo, come scorzonera e cannella
, la cassata imbottita, gli spongati con panna, i pezzi duri dai diversi
gusti imbottiti con gelato di torrone.
Posto di rilievo, infine, si deve dare ai sorbetti (gelati senza aggiunta
di latte) ed alle granite, le più comuni sono quelle al limone,
al caffè ed alle mandorle, gradita pausa rinfrescante soprattutto
nelle
giornate estive.
Ma
"gli sfizi" più popolari della tradizione gastronomica palermitana,
si tramandano invariati nelle tipiche botteghe dei mercati della città
: la Vucciria, il Capo, Ballarò, il Borgo vecchio che si distinguono
in friggitorie dove troveremo le "panelle", i "cazzilli",
"broccoli, carciofi, e cardoni fritti in pastella", "quaglie", "sarde a beccafico",
Sfincione e Caponata;
ed in Focaccerie dove si potevano gustare (prima che anche le mucche
diventassero pazze) le "guastedde" o "pane c'a meusa", soffici focacce con
fette di milza e polmone soffritti nello strutto distinte in "schiette" o "maritate" (nubili o sposate) a seconda se condite con
solo caciocavallo o anche con ricotta fresca o meno. I più famosi "guastiddari" sono quelli dell'Antica Focacceria
San Francesco.
Sempre nei mercati si poteva trovare la "quarume" detta anche "caldume"
da pietanza calda, un bollito misto di trippa, budella di agnello, interiora
di vitello, "centopelli", stomaco che, venduta a peso, viene servita
da ambulanti, spesso in bicicletta, dentro pacchetti di carta pesante
"coppi". Attraversando Palermo, anche in auto potrà capitare
di venir investiti da un profumatissimo
odore di carne alla griglia : " i stigghiola", budelli di agnello alla
griglia arrotolati con del prezzemolo, si mangiano calde e bruciacchiate,
dall'odore forte e stuzzicante, indicano da "sole" la strada a chi vuole
gustarle...
Nei dintorni marinari di Palermo, a Mondello e Sferracavallo, soprattutto
nel periodo estivo, i pescatori vendono in alcuni locali tipici, ricci
e frutti di mare, mentre i "polipari" vendono il polpo già bollito
e tagliato a pezzetti, condito con succo di limone e servito in grandi
piatti di ceramica.
Per chi avesse ancora qualche remora sul cibo, ci pregiamo aggiungere
uno stralcio del suggerimento che il chiarissimo poeta dell''800 Lorenzo
Stecchetti, diede all'altrettanto chiarissimo Artusi (Tratto dall'omonimo
testo):
"... Non vergognamoci dunque di mangiare il meglio che si può
e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia. Infine anche il tiranno
cervello ci guadagnerà, e questa società malata di nervi
finirà per capire che, anche in arte, una discussione sul cucinare
l'anguilla, vale una dissertazione sul sorriso di Beatrice."